Il titolo del film dice la cifra della vita di Anna, la protagonista. Dedita agli altri fin quasi all’annullamento di sé, Anna in passato è stata una bambina spavalda e coraggiosa, capace di fare quattro anni di riformatorio al posto del fratello. Oggi è una donna adulta che vive nella sua Napoli e da molto ha smesso di vedere quello che davvero accade nella sua esistenza preferendo non prendere posizione. Per amore dei tre figli (di cui uno è sordomuto) e della famiglia (attuale e di origine) ha lasciato che la sua vita si spegnesse, lentamente, fino a convincersi di essere una “cosa da niente” (espressione che ha continuamente in bocca). Eppure sul lavoro – fa la suggeritrice in uno studio televisivo – è apprezzata e amata.
In un certo senso Anna è Napoli, capace di fingere di non vedere (per quieto vivere) il marciume morale che la circonda e rischia di sommergerla, ma anche capace di slanci di generosità, di prorompente vitalità, di ferma difesa della propria dignità. La vicenda è narrata secondo un accavallarsi continuo di piani: realtà (in bianco e nero) e sogno (a colori), che più spesso si fa incubo; presente e passato; vita e finzione. Alcuni dei numerosi motivi simbolici mi sembrano suggerire piste di lettura di un film complesso, coraggioso per le scelte narrative, ma più interessante che bello, a volte ridondante e spesso oscuro. Penso al mare, per esempio. Lo stesso regista - Giuseppe Gaudino - in un’intervista, ne ha parlato come di un simbolo freudiano. Una presenza quasi ossessiva, bellissima e promettente, ma anche minacciosa, foriera di tragedie ineluttabili, che apre uno squarcio sull’inconscio della protagonista. Oppure penso al “gobbo” che Anna è incaricata di trascrivere e che rimanda al suo porsi sempre a metà tra realtà e rappresentazione, tra ciò che appare e ciò che è. Anche visivamente quell’enorme cartello da cui spuntano solo i suoi occhi, non fa che creare una barriera invalicabile tra lei e i suoi sogni. Anna, come gli ignavi danteschi, a cui il regista fa esplicito riferimento, è condannata a non vivere.
Per poter salvarsi dall’inferno – scrive Calvino ne Le città invisibili – occorre incontrare qualcosa che inferno non è. Ad Anna questa possibilità sembra schiudersi nelle attenzioni di un attore della soap opera per cui lavora. Da questa fragilissima promessa di bene per sé fiorirà nella donna la decisione di riprendersi la vita e il coraggio di scelte difficili.
Angelo Card. Scola Arcivescovo di Milano
(L‘articolo è stato pubblicato sulla rivista "SdC - Sale della Comunità" di Ottobre 2015)