Una struggente “operetta morale”. Così potremmo definire torneranno i prati, il recente lavoro di Ermanno Olmi, ispirato al racconto “La paura” di Federico De Roberto. Non c’è, in quest’opera, alcun interesse per la celebrazione dei fasti e nefasti di un conflitto che ha cambiato il volto dell’Europa, ma la ferma decisione di custodire la memoria del loro sacrificio: pur essendo rigorosamente storico (tutto ciò che racconta è realmente accaduto), non è un film d’azione, come a sancirne l’assurdità ultima, quando si tratta di guerra.
Siamo sul fronte Nord-est, dopo gli ultimi sanguinosi scontri del 1917. In un avamposto di alta quota un gruppo di soldati italiani combatte in trincea, a pochi metri da quella austriaca. Intorno solo neve e silenzio; dentro il gelo, lo sfinimento, la febbre e la buia rassegnazione, illuminata a tratti da bagliori di speranza, irriducibile segno di umanità. La si ritrova nei gesti di tenerezza “materna” con cui uomini rudi e avvezzi a maneggiare le armi accudiscono i malati e i feriti, negli sguardi commossi con cui ricevono le lettere da casa, nel canto del soldato napoletano alla luna. La sua voce giunge come una carezza consolatrice non solo sui commilitoni, ma anche sui “nemici” austriaci, a qualche decina di metri, che supplicano l’italiano di non interrompere la sua serenata.
Il giovane tenente, fresco di studi di filosofia, ultimo arrivato in quella tragica trincea, prima dell’ordine di ripiegamento, dopo aver seppellito i morti sotto la neve e mentre i sopravvissuti si mettono in marcia, chiede al soldato napoletano di cantare. Dopo averne ricevuto un fermo rifiuto, prova a insistere: “è un ordine: Canta!”. La risposta del soldato dice un’evidenza che nessuna retorica né convinzione ideologica riesce a contraddire: “Per cantare bisogna essere contenti, e se non hai il cuore contento nessuno ti ascolta”. Così da un’oscura recluta il tenentino riceve la più importante lezione di vita.
Mentre scorrono le ultime immagini del film ascoltiamo le parole della sua lettera alla madre: «Cara mamma, in una notte sono diventato uomo. …La cosa più difficile sarà perdonare. Ma se un uomo non sa perdonare, che uomo è?». Mi sembra che in queste battute sia condensato il messaggio del film.
Angelo Card. Scola Arcivescovo di Milano
(L‘articolo è stato pubblicato sulla rivista "SdC - Sale della Comunità" di Marzo 2015)