Il regista, lo spagnolo Diego Quemada-Diez, è al suo primo film. Vi mette mano dopo aver raccolto le storie vere di centinaia di persone, vivendo in casa loro e frequentando i ghetti più pericolosi del mondo, a volte rischiando la vita. Nessuno dei problemi scottanti legati a quello centrale dellimmigrazione clandestina è ignorato: né la sorte delle donne, prime vittime di una società violenta e maschilista, né quello della cultura india in via di estinzione, né quello dei narcotrafficanti o dei razziatori.
Lo sguardo del regista, però, non ricatta a suon di infamie e di orrori ma avvince, sorprende, commuove lavorando sui protagonisti adolescenti, scelti davvero nelle bidonvilles del Guatemala, e su quanto hanno di più prezioso e universale. Le emozioni della loro età, lo stupore, lincoscienza, la paura, la durezza e la purezza accompagneranno Juan, Sara, Samuel (allinizio) e lindio Chauk, personaggio tanto affascinante quanto incomprensibile perché parla solo tzotzil, la lingua del Chiapas, nella loro odissea contemporanea, insieme terribile e meravigliosa. Terribile per le vicende che i ragazzi devono affrontare. Meravigliosa perché tra violenze e ruberie, con qualche sprazzo di solidarietà umana e cristiana, tra treni carichi di disperati e paesaggi sbalorditivi, Quemada-Diez non perde mai di vista la cifra profonda di un cammino di iniziazione. Il protagonista, da ragazzino prepotente ed egocentrico, diventerà un giovane uomo capace di generosità e di sacrificio.
Verso lepilogo della storia, la corsa dellennesimo treno merci su cui si arrampicheranno i giovani viaggiatori clandestini sarà accompagnata dal ritmo di una canzone struggente che racconta alcune amare verità della vita di un migrante. Mi pare che il testo della canzone possa costituire una buona sintesi di questo film ad un tempo lirico ed epico: Fratello, attraversando la frontiera, ti sei perso/semina il coraggio con i tuoi passi/per attraversare quando io vorrò./Canna dolce, canna forte/canna che la macchina macina./Io sono come la canna, che tagli ma che non prova dolore./ La terra che io lavoro non è mai stata mia./Sto perdendo la strada/Sto perdendo la fede./È necessario trovarla/muoio senza fede; è necessario trovarla.
Angelo Card. Scola Arcivescovo di Milano
(L‘articolo è stato pubblicato sulla rivista SdC - Sale della Comunità di Dicembre 2013)