Fare un film da un romanzo è sempre una sfida. Cinema e romanzo sono forme darte per certi aspetti irriducibili, se non altro perché luno comunica con limmagine e laltro con la parola. Lo stesso autore del fortunatissimo romanzo, Alessandro DAvenia, non ha difficoltà ad ammettere questa infedeltà, ma lo fa positivamente: «Con lo sceneggiatore Fabio Bonifacci abbiamo manipolato il testo, quasi tradendone lessenza. Però è stato un tradimento che ha rinvigorito la storia, le ha ridato vita».
Leo, il protagonista, è un simpatico sedicenne con poca voglia di studiare e tantissima di vivere. La sua giornata si divide tra passione per il calcio, corse in bicicletta con la musica dellipod nelle orecchie, compiti copiati, scontri con i genitori, amicizie indissolubili, primi turbamenti amorosi. La sua vita cambia quando, dopo mille esitazioni, decide di dichiararsi a Beatrice, una ragazza più grande che frequenta il suo liceo. Leo scopre che la ragazza è ammalata di leucemia ed è destinata a morire presto. La realtà, in tutta la sua durezza e senza fare sconti, entra nellesistenza del ragazzo. Gettato di colpo nella vita adulta, Leo barcolla in parecchi momenti, ma progressivamente accetta che crescere significhi anche passare attraverso il dolore. Aiutato dalla stessa Beatrice e dal professore, un supplente di italiano che, con lappassionato insegnamento della sua materia, lo introduce (e accompagna) al senso della vita e di tutta la realtà, il protagonista diventa grande, recuperando e cominciando a ricondurre ad unità tutte le linee spezzate della sua esistenza.
Il film, più del libro, mette in primo piano ladolescenza. Le figure degli adulti risultano meno decisive che nel romanzo: penso ai genitori, simpatici ma certo poco testimoni, o allinsegnante di religione che nel film è solo una fugace comparsa. Lo stesso professore, pure ottimamente interpretato, mi sembra avere minor peso autorevole. Nella scelta di campo che privilegia i protagonisti adolescenti, il regista Giacomo Campiotti è decisamente credibile. Lo dice ancora DAvenia parlando del suo «guardare il mondo dei ragazzi con tenerezza e non in modo arcigno e giudicante come spesso succede quando si guarda a questa generazione». Insomma, quello che emerge sia dal libro che dal film è un ritratto delladolescenza finalmente aperto alla speranza. Ottima linterpretazione dei tre giovani protagonisti: anzitutto Filippo Scicchitano (Leo), poi Gaia Weiss nel non facile ruolo di una moderna Beatrice dantesca ed Aurora Ruffino, la fidatissima amica Silvia che, al termine della vicenda, vedrà premiata la sua adorante fedeltà. «La vita disse una volta il Beato Giovanni Paolo II, parlando ai giovani è la realizzazione del sogno della giovinezza». Bianca come il latte, rossa come il sangue, sia nel romanzo che nella sua versione cinematografica, ben esprime questo orientamento.
Angelo Card. Scola Arcivescovo di Milano
(L‘articolo è stato pubblicato sulla rivista SdC - Sale della Comunità di Luglio 2013)