«Un film popolare - scrive André Malraux - è quello che rivela alla gente la grandezza che c’è in loro». Una definizione pienamente centrata per il film Le nevi del Kilimangiaro, del 2011, del francese Robert Guédiguian. Ma andiamo con ordine. Il titolo è tratto da una canzone di Pascal Danel, un cantautore degli anni ’60, quelli della giovinezza dei due protagonisti, Michel e Claire. Michel è un sindacalista che lavora al porto di Marsiglia e vive all’Estaque, il quartiere a ridosso del porto. Claire, la moglie, arrotonda il modesto bilancio familiare assistendo un’anziana sola. La prima scena è folgorante: Michel estrae a sorte da un’urna i nomi di venti uomini destinati ad essere licenziati e tra questi c’è anche lui. Non ha voluto per sé nessun privilegio. Così si trova senza lavoro, ma gli restano ancora una moglie, a cui lo legano trent’anni d’amore, due figli e tre nipotini. La sua vita serena, trascorsa in una dedizione senza ombre alla famiglia e al lavoro, all’insegna della solidarietà e dell’amicizia, viene bruscamente interrotta da una rapina, di cui è vittima insieme alla moglie, alla sorella e al cognato. I protagonisti vengono presi anche letteralmente a botte; ma ricevono soprattutto una violenta botta morale, quando scoprono che uno dei due rapinatori è un giovane operaio licenziato insieme a Michel. Le certezze di una vita vacillano: «Abbiamo combattuto anche per loro e ci odiano perché abbiamo un’auto e una casa?», si chiede Michel. L’amarezza per un gesto che gli appare tanto assurdo quanto ingiusto lo spinge a sporgere denuncia, ma entra in crisi quando scopre che Christophe è stato spinto a quel gesto estremo per poter pagare l’affitto della casa in cui vive con due fratellini che sta tirando su da solo. Il ragazzo viene arrestato e rischia 15 anni di carcere. Michel e Claire sono a un bivio: assecondare il facile giustizialismo che tutti intorno, compresi i loro figli, consigliano o avere il coraggio di guardare più a fondo dentro la propria umanità e quella dell’altro, accettando il rischio della condivisione? I due protagonisti iniziano così un percorso di riparazione fatto, inizialmente, ciascuno per conto proprio ma che confluirà in una decisione comune: la scelta di adottare i due fratellini di Christophe finché egli uscirà dal carcere. L’immagine irrevocabile che scelgo è quella che fissa questa decisione, l’incontro che schiude ai due sposi sulle soglie della terza età un nuovo inizio: Michel e Claire sono seduti sul molo, di fronte al mare. Un po’ impacciato, il marito sta affacciando alla moglie l’ipotesi di prendere con loro i due bambini, ma la moglie lo ha preceduto: i due ragazzetti compaiono alle loro spalle, di ritorno dal bagno, e Claire con naturalezza materna passa loro i teli per asciugarsi.
Angelo Card. Scola Arcivescovo di Milano
(L‘articolo è stato pubblicato sulla rivista SdC - Sale della Comunità di Dicembre 2012)