Prendete un dipinto, uno tra i più famosi di sempre. Poi prendete unidea: quella di dargli vita. Il risultato è quanto vediamo ne I colori della Passione, ultimo, splendido film del polacco Lech Majewski. Il regista invita lo spettatore a vivere dentro lepico capolavoro del maestro fiammingo Pieter Bruegel La salita al Calvario (1564): la tela riproduce la Passione di Cristo ambientandola nelle Fiandre del XVI secolo, sconvolte dalla brutale occupazione spagnola. La sofferenza di Cristo è collocata nel qui ed ora di un popolo che, a sua volta, soffre. Il protagonista della narrazione è il pittore stesso intento a catturare frammenti di vita di una dozzina di personaggi: la famiglia di un mugnaio, quella dello stesso pittore, due giovani amanti, un pellegrino, un‘eretica, la gente del villaggio e i minacciosi cavalieri dell‘Inquisizione spagnola. La quotidianità si trasforma in simbolo universale, eco di quella logica dellincarnazione inaugurata da Cristo stesso. Infatti, da quando Dio si è impastato con la vita delluomo - per dirlo con Péguy - «leterno è entrato nel temporale e il temporale nelleterno». Bruegel, e Majewski con lui, rappresenta storie eccezionalmente ordinarie. «Era necessario che leroico diventasse quotidiano e il quotidiano eroico» ha detto il Beato Giovanni Paolo II, parlando di San Benedetto, ed è vero sempre per il cristianesimo. Limmagine irrevocabile che scelgo: siamo alla penultima scena. Cristo è morto. In un cosmo - micro e macro - sconvolto ed immerso nelle tenebre, il tempo si ferma. Mentre il mugnaio arresta il mulino e gli ingranaggi tacciono, i suoi occhi si riempiono di lacrime: Dio piange il sacrificio del Figlio per amore delluomo. Ma, nel silenzio assoluto del Sabato Santo, lobbedienza del Crocifisso già fa germogliare lalbero della Risurrezione.
Angelo Card. Scola Arcivescovo di Milano
(L‘articolo è stato pubblicato sulla rivista SdC - Sale della Comunità di Luglio 2012)