Sale della Comunità - Percorsi cinematografici
I colori della Passione - Conversazione con Andrea Nante, direttore del Museo diocesano di Padova
di Arianna Prevedello


La pittura, l’architettura, il cinema, il teatro e tante altre forme artistiche sono universi che evocano spiccatamente il volto di Dio. In questo senso diventa strategica la ricerca di contenuti fruibili ed inseribili nelle proposte pastorali anche delle parrocchie non  dotate di una sala della comunità. Una nuova opportunità viene dal film I colori della passione, un gioiello in termini estetici e teologici. Il regista Lech Majewski propone una mirabile trasposizione cinematografica del dipinto "La salita al Calvario" di Pieter Bruegel.  Interpretato da Rutger Hauer e Charlotte Rampling, l’opera rappresenta una riedizione della storia della Passione di Cristo ambientata nelle Fiandre, sotto la brutale occupazione spagnola nel corso dell’anno 1564.  
Il volto antropologico del divino
 
The mill & the cross è il vincitore dell’edizione 2011 del Festival Popoli e religioni, manifestazione votata al dialogo interreligioso e inter-etnico. Il film premiato rappresenta «una straordinaria lezione di storia dell’Arte – spiega la motivazione della giuria capeggiata dalla regista Liliana Cavani – che fa rivivere il capolavoro di Bruegel attraverso un uso innovativo del linguaggio cinematografico digitale. Il film rende viva l’ispirazione artistica con un racconto di grande potenza evocativa che, restituendo la realtà storica, la attualizza per lo spettatore contemporaneo e conferma in modo splendido il connubio fra cinema e Arte». Accanto alla regista di Francesco (il film sul santo d’Assisi) anche il poeta Davide Rondoni e il regista Guido Chiesa, autore dello scorso anno dell’apprezzato Io sono con te, opera dedicata alla gravidanza e alla maternità di Maria.
 
«Ci sono film che descrivono la realtà - spiega Chiesa -, altri che cercano di capirla, di interpretarla. I colori della passione è uno di questi e lo fa in modo sublime. Mettendo in scena la propria lettura del quadro di Pieter Bruegel il Vecchio, Lech Majewski ci dice prima di tutto che l‘arte è una realtà, non meno concreta e "fisica" degli oggetti e delle relazioni. I colori della passione restituisce valore sociale all‘arte, strappandola alla “muffa” dei musei e alla narcosi dell‘ "arte per l‘arte" e, facendolo, obbliga a interrogarci sulla natura del Dio che si fa Uomo, perché la grande arte altro non è che un continuo travaglio alla ricerca del volto antropologico del divino. Vetta sempre irraggiungibile, eppure sempre e solo avvicinabile a partire dalla comune realtà corporea, la materiale natura umana, il "tempio dello Spirito" di san Paolo. Bruegel - e con lui Majewski - ci dicono che Gesù è piccolo, là in mezzo alla folla dei suoi carnefici e muti spettatori pietosi, incastrato tra le pieghe della Storia e del Tempo che solo l‘artifizio artistico può arrestare, solo per un istante. Cristo rimane piccolo, ma Maria è lì, in primo piano, a fare da simmetrica testimone al dolore e alla speranza dell‘uomo».
 
Fotogrammi dipinti
 
Da alcuni anni Andrea Nante, direttore del Museo diocesano di Padova, progetta insieme all‘Ufficio diocesano per la catechesi e l‘evangelizzazione laboratori, percorsi ed eventi su arte e catechesi per ragazzi ed adulti nei suggestivi ambienti del Palazzo Vescovile, sede del Museo, e nell‘ambito de I colori del sacro, la rassegna internazionale di illustrazione giunta alla sua sesta edizione con il tema dell’Aria, in corso proprio in questi mesi.
 
Che tipo di esperienza si vive con la visione de I colori della passione?
Quello di Majewski è un invito allettante al quale spesso siamo chiamati tutti osservando un dipinto, magari esposto in una sala museale, che sollecita la nostra curiosità, immaginazione, coinvolgendo, perché no, anche i nostri sensi. Sia pure realizzato secoli fa, un dipinto può continuare a parlarci anche attraverso il nostro vissuto; dobbiamo però saperlo interrogare non solo con gli occhi. E il cinema in questo sa fare cose sorprendenti, entrando nell’opera, animando le storie narrate, come dimostra lo straordinario The mill & the cross. L’aver scelto poi un’opera e uno dei protagonisti della pittura fiamminga del Cinquecento si è rivelata operazione più che convincente. Si tratta del pittore Pieter Bruegel il Vecchio, attivo tra Anversa e Bruxelles negli anni tra il 1550 e il 1569; mentre l’opera è La salita al Calvario dipinto nel 1564 e subito acquistato dal banchiere e collezionista Nicholas Jonghelinck, dopo vari passaggi di proprietà oggi conservato al Kunsthistorisches Museum di Vienna.
 
Quali scelte narrative e spaziali vengono proposte da Majewski?
Il quadro nasce nella mente dell’artista che lavora “come il ragno mentre tesse la sua tela”, osservando quanto gli accade intorno e rivestendo di significato ogni dettaglio, cose e persone riportati sulla superficie del dipinto. Così nel “cuore della sua tela”, all’incrocio delle diagonali, il pittore pone Gesù, accasciato sotto la croce, mentre si reca al Golgota, “macinato come grano” sotto l’indifferenza della moltitudine distratta e dimentica che neanche lo scorge, sotto gli occhi del Dio-mugnaio che dall’alto dello spuntone roccioso, pur disapprovando quanto accade, continua a dare vita. Alla città con le sue mura posta sullo sfondo, si contrappone sulla destra il Golgota: un cerchio di persone attende la triplice crocifissione; in primo piano il gruppo della Vergine con Giovanni e le altre dolenti, in apparenza chiusi nel loro dolore, aprono invece al dramma e al mistero della vita/morte. A inquadrare l‘intera scena un albero in vegetazione, l‘Albero della Vita, a sinistra e il palo dei giustiziati, l‘Albero della Morte, a destra.
 
La messa in scena cinematografica rimane fedele all’identità della pittura fiamminga?
Il paesaggio, vero protagonista della pittura fiamminga e olandese fin dal Quattrocento, qui si impone come reale scenario, dove uomini e donne coi loro gesti quotidiani scandiscono il tempo. I colori, gli umori della natura accompagnano il loro vivere; l’alto orizzonte fa sconfinare lo sguardo in lontananza, il cielo si incupisce proprio sopra il luogo mortale. Nel film lo stesso paesaggio lo intuiamo attraverso gli usci e le finestre, lungo il cammino dei viandanti, a volte disegnato, altre dipinto e altre ancora reale o ricostruito grazie alle nuove tecnologie. "L‘ambientazione è data" afferma il pittore descrivendo a Jonghelinck la sua composizione; e il regista, alias pittore, nella sua esegesi sceglie il mulino costruito sopra la roccia come asse attorno al quale far ruotare "tra la vita e la morte" tutte le persone; e in quel continuo brulicare di vita rileviamo proprio l‘elemento caratterizzante la pittura fiamminga, quello della partecipazione viva della natura alle azioni dell‘uomo. Il paesaggio naturalistico può essere allora l‘insieme delle molte vedute riprese in disegni durante i viaggi del pittore a sud delle Alpi, ma sarà sempre l‘elemento che accompagnandosi alla figura umana ne spiega la sua stessa sostanza.
 
Comparando le opere di Bruegel e Majewski ritrova un’unione d’intenti?
Lo spettatore è invitato a scoprire nell’opera dipinta come in quella cinematografica un al di là della visione iniziale, un senso nascosto che a prima vista non è in grado di cogliere data la popolatissima composizione. A Bruegel come al regista (attraverso gli occhi del pittore) interessa sì restituire la realtà con fedeltà, ma questo più che un fine costituisce un mezzo per esprimere il suo pensiero e la visione dei fatti, introducendoci al vero significato del quadro, che è di ordine morale.
 
 


Ultimo aggiornamento di questa pagina: 24-APR-12
 

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