Tempo fa un mio amico scherzando (ma non troppo) minacciava di far esonerare suo figlio dalla scuola di religione perché vedendo il modello di insegnamento che il docente aveva adottato non voleva che suo figlio diventasse ateo. Mi veniva in mente questo episodio assistendo alla proiezione del film desordio di Alice Rohrwacher Corpo celeste, presentato allo scorso Festival di Cannes nella sezione Quinzaine des Réalisateurs. Un racconto forte ma di genuina passione anche religiosa.
Marta, che dalla Svizzera torna a Reggio Calabria con la sua famiglia di emigrati per prepararsi alla cresima, simbatte in una stravagante catechista, in un prete carrierista incollato al cellulare e maneggione in politica, in un altro sacerdote misogino dalla fede anticotestamentaria, in una comunità cristiana legata solo alle tradizioni esteriori, in una città sporca, spettrale, volgare, in una catechesi che non esita a ricorrere agli standard dei varietà velinari (la canzoncina Mi sintonizzo con Dio!), in un orrendo crocefisso ultramoderno al neon
Ecco, in questo orizzonte così squallido Marta si muove leggera e quasi eterea, proprio come un corpo celeste e limmagine che la delinea nella sua innata spiritualità è da cercare quando con la mano percorre il profilo del volto di Cristo nel crocifisso destinato a sostituire quello al neon. Un antico crocifisso che durante il trasporto nella chiesa parrocchiale cade persino in un torrente durante un incidente e là galleggia emblematico sullacqua. Alla fine, quindi, i puri di cuore trovano da soli la genuina risposta di fede a quelle domande che fioriscono nellanima e che una religione artificiosa con le sue varie e fredde lezioni di catechismo non sa dare.
Gianfranco Ravasi
(l‘articolo è stato pubblicato sulla rivista SdC - Sale della Comunità di dicembre 2011)