Per il grosso pubblico il cognome di Villeneuve rimanda subito a una pista di Formula Uno, ove sfreccia tragicamente per lultima sua corsa Gilles, morto nel 1982 a soli trentanni sul circuito di Zolder, oppure si pensa a suo figlio Jacques, vincitore del massimo campionato automobilistico nel 1997. In realtà il cognome, che è tipico del Quebec, è portato anche da un regista canadese di nome Denis, di 44 anni, che si è affacciato nel 2009 al Festival di Cannes col film Polytechnique, dedicato a un massacro perpetrato nel 1989 in una scuola di Montreal. Un filo altamente drammatico sorregge e pervade anche il film che, quasi furtivamente, è apparso nelle nostre sale in questi mesi. Il doppio titolo che lo accompagna, La donna che canta Incendies, cerca di esplicitare il cuore del film che è appunto in una voce simbolica, quella della madre dei due gemelli Marwan e del relativo testamento corredato di due lettere. Di una di esse è destinatario quel padre che i gemelli pensavano morto e che scoprono essere ancora in vita, ma in un lontano Medio Oriente, dal quale tra laltro proviene anche lispiratore e sceneggiatore del dramma, lo scrittore libano-canadese Wajdi Mouawad. Non è possibile a noi ora, né lo dobbiamo fare, evocare la trama dolorosa di questo pellegrinaggio dei gemelli alle sorgenti terribili della loro vita ove sincrociano violenza, incesto, odio, disperazione. Come è nostro compito, suggeriamo solo unimmagine ultima ed essenziale che è proprio nellepilogo, degno dellatmosfera sacrale di una tragedia greca (e il pensiero corre allEdipo sofocleo). È appunto la voce della madre morta a entrare in scena e a leggere la lettera destinata ai suoi figli, nella quale essa scioglie lenigma di quella loro genesi orrenda. Ascoltando quella voce, i loro sguardi silluminano, le lacrime rigano i loro volti; lamore redime anche le realtà più violente e degradate; la verità non ignora la colpa, ma la cancella lasciando spazio al perdono; la catena dellodio si infrange e ci si riconcilia con la vita, anche se marchiata dal male; la via crucis della storia personale e universale, per quanto striata di infamie, di sofferenze e di scandali, vede sorgere lalba della redenzione pasquale.
Gianfranco Ravasi
(l‘articolo è stato pubblicato sulla rivista SdC - Sale della Comunità di Maggio 2011)