Nel 2003 pubblicai un volume intitolato Breve storia dellanima. Subito dopo mi misi al lavoro per una sorta di continuazione dedicata allimmortalità dellanima. Avevo pensato a un titolo emblematico: E dopo? Ma quando iniziai a raccogliere i materiali, accumulai tanta e tale documentazione da essere preso dallo scoraggiamento e, così, il libro rimase tra i progetti demandati ad anni più quieti, in pratica alla mia vecchiaia. Ebbene, Clint Eastwood col suo Hereafter mi ha dimostrato quanto la genialità e la potenza dellarte riescano a esprimere in pienezza, nello spazio sintetico di un racconto filmico, ciò che la lunga, pedante e mai definitiva analisi non riuscirebbe mai a condensare. Lapidario ed essenziale è già il titolo, laldilà in inglese; straordinaria è la capacità di affacciarsi sulloltre e sullaltro rispetto allorizzonte della quotidianità. Penso (o spero) che tutti i lettori di questa rivista abbiano potuto vivere lesperienza emozionante proposta da questo film. Scegliere per loro unistantanea è arduo perché, probabilmente, ciascuno di loro ha nella memoria visiva tante immagini irrevocabili e fin folgoranti. Io ho optato per un paio di scene di assoluto nitore figurativo, poetico e spirituale. La prima è tutta nello sguardo smarrito e implorante del piccolo Marcus che cerca negli occhi di George, loperaio sensitivo, una risposta alla sua domanda angosciante: dovè il mio fratellino Jason? George non sa e non deve rispondergli e lo invita solo a vivere in pienezza la vita che ci è donata come via privilegiata per sentire vicino chi è hereafter. Laltra immagine è nella finale del film, allorché George (Matt Damon) e lirrequieta giornalista francese Marie (Cécile de France), sopravvissuta allo tsunami, sincontrano in un lieve e delicato abbraccio-bacio. È, forse, lepifania di una verità che il Cantico dei cantici aveva intuito nel suo apice supremo: «Poiché forte come la Morte è Amore » (8,6). È qui la risposta ultima alla domanda sul mistero dellhereafter.
Gianfranco Ravasi
(l‘articolo è stato pubblicato sulla rivista SdC - Sale della Comunità di Marzo 2011)