Sale della Comunità - Percorsi cinematografici
Rabbit Hole: dare un senso al dolore
di Francesca Alfieri



Di fronte al dolore e alla disperazione derivati da una perdita, si possono sviluppare diversi meccanismi di rimozione e di elaborazione del lutto. C’è chi continua a vivere nel ricordo, stringendo a sé la memoria di chi che non c’è più, e c’è chi cerca di dimenticare tutto, consegnando ogni cosa all’oblio e cancellando le tracce di colui che se ne è andato; c’è chi fugge dalla realtà, cercando distrazione nello svago e nel divertimento o provando ad aprirsi a nuove conoscenze e nuovi legami, c’è invece chi si butta a capofitto nel lavoro o negli impegni quotidiani, in un profondo isolamento. Ma per quanto la nostra psiche si sforzi di attivare comportamenti di difesa, esiste davvero un modo per sollevarsi dalla sofferenza causata dalla perdita di un figlio?
Su questo tema tanto angoscioso e delicato si sviluppa la storia di Rebecca e Howie Corbett (Nicole Kidman e Aaron Eckart), una coppia di genitori che dopo la morte del figlio di quattro anni si ritrovano nell’impossibilità di superare il trauma e di andare avanti. Le loro vite sembrano interrotte, congelate nell’angoscia e nell’incapacità di farsi una ragione e tornare a condurre una vita “normale”. Nei loro disperati tentativi di soffrire meno, annaspando fra miseri successi e amare sconfitte, i due scivolano in una spirale di isolamento e di incomprensione che li porta ad allontanarsi l’uno dall’altro, in una profonda crisi personale e di coppia, fino quasi al punto di separarsi.
La perdita di un figlio è una delle tragedie peggiori che possano capitare. Al dolore inconsolabile si aggiunge poi l’inevitabile benché ingiustificato senso di colpa per quello che non si è fatto e quello che si sarebbe potuto fare. Ogni genitore sa, inconsciamente, che nel momento in cui consegna un figlio alla vita, lo consegna al tempo stesso anche alla morte, ma la scomparsa di un figlio rimane un evento talmente assurdo e innaturale che lascia un vuoto incolmabile e cambia irreversibilmente le persone che ne vivono l’esperienza.
Rabbit Hole è un viaggio profondo ma discreto negli antri psicologici ed emotivi di una coppia che si trova a vive un simile lutto, un percorso nel baratro della sofferenza che solleva inevitabili interrogativi sul dolore e sulla morte. Sul senso di un avvenimento tanto assurdo e di una pena tanto insopportabile, sull’inutilità della lotta per l’esistenza e l’impossibilità di credere che, dopo un evento del genere, la vita ci possa ancora dare qualcosa di piacevole e gioioso. C’è da qualche parte una ragione o una consolazione a una tale sofferenza e a una tale sensazione di vuoto e nullità? Perché Dio, che è tanto misericordioso, ha permesso che questo accadesse? Se Dio esistesse davvero, ciò non sarebbe mai successo…
Sono molte le domande su cui il film si interroga ma a cui non sa e non pretende di dare una risposta. L’esperienza di Rebecca e Howie è destinata a diventare una lotta senza fine nello sforzo di andare avanti, coscienti che il dolore col tempo può diventare come un mattone nascosto in una tasca, il cui peso può divenire sostenibile ma di cui non ci si potrà mai liberare. Nemmeno la fede è in grado di portare un po’ di conforto nella loro vita, e Dio, se esiste, deve essere un sadico che quanto più lo si adora tanto più ci punisce. Essi soffrono la mancanza di fede e la possibilità di aggrapparsi ad essa per credere che esista ancora almeno una speranza, e si ritrovano a soffrire da soli, chiusi in se stessi e in un’angoscia che credono esclusiva e incomprensibile per chiunque altro, anche per il coniuge.
L‘unica cosa che sembra offrire una svolta e aprire uno spiraglio alla speranza è l’Amore. Benché lungi dal condurre a un consolatorio lieto fine, l’amore fra Becca e Howie li porta a riavvicinarsi e a ritrovare un percorso comune, pur consapevoli che il loro dolore non verrà mai consolato. Emblematiche le ultime scene in cui i due, tenendosi per mano e unendo finalmente i loro dolori, si chiedono “Che cosa faremo ora?” “ …e dopo?”. In quell’istante è racchiusa l’unica possibile risposta del film: solo nell’amore dell’altro e per l’altro e provando a costruire un progetto comune e condivisibile si può trovare una via di salvezza, un modo per guardare avanti e tornare a vivere.
 
 


Ultimo aggiornamento di questa pagina: 21-FEB-11
 

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