«Vorrei arrivare al varco con pochi, essenziali bagagli, / liberato dai molti inutili, / di cui lepoca tragica e fatua / ci ha sovraccaricati / E vorrei passare questa soglia / sostenuto da poche, / sostanziali acquisizioni / e dalle immagini irrevocabili per intensità e bellezza / che sono rimaste / come retaggio».
Questi versi di un grande poeta come Mario Luzi esprimono il senso dello sguardo che getteremo ogni volta su unimmagine filmica. Il nostro occhio è, infatti, occupato da un ininterrotto flusso di immagini spesso inutili e sporcate. Ne sceglieremo invece una che sia irrevocabile per intensità e bellezza.
Ecco, allora, un fotogramma desunto dalla scena finale di Gran Torino di Clint Eastwood: il protagonista Walt giunge a un approdo di redenzione e come in Mamma Roma di Pasolini ove il figlio muore crocifisso su un letto dospedale egli chiude il suo itinerario umano in una crocifissione orizzontale. È quasi unimitatio Christi, facendosi carico dei peccati suoi, di Thao, il suo giovane interlocutore, e dellintera tormentata e lacerata società. «Me, I finish things, thats what I do», aveva detto Walt: nel modo in cui Eastwood fa finire le cose per sé e per i suoi personaggi è racchiuso un senso di compassione, di umanità, di salvezza. E quellimmagine cristologica ne è il simbolo e lideale suggello.
Gianfranco Ravasi
(l‘articolo è stato pubblicato sulla rivista SdC - Sale della Comunità di Dicembre 2010)