Sale della Comunità - Percorsi cinematografici
L‘Italia di oggi, sul grande schermo
di Arianna Prevedello



In questo suo secolo di vita non possiamo dimenticare come anche il cinema abbia fatto la sua parte nell’unire lo stivale. Pur accentuando talvolta anche le differenze delle diverse aree geografiche e culturali che compongono la nostra nazione, l’arte cinematografica nella sala buia ha saputo al contempo annullare idealmente distanze incolmabili tra realtà lontanissime del paese. Già da tempo nelle sale della comunità sono iniziati manifestazioni ed eventi a complemento e sostegno delle celebrazioni per l’anniversario dei 150 anni dell’Unità d’Italia. Accanto alla proposta della recente opera del regista Mario Martone, Noi credevamo, presentata in concorso alla 67esima Mostra del Cinema di Venezia e distribuita da 01, consigliamo di visionare sul sito della Cineteca di Bologna (www.cinetecadibologna.it) gli 80 titoli della storia del cinema italiano prescelti per la rassegna “Da Garibaldi al “caimano”. Come il cinema ha raccontato l‘Italia. Luci e ombre della storia nella sala buia”. Di seguito suggeriamo invece alcuni film dell’ultima stagione che proposti insieme tessono i fili di una nazione segnata da nuove opportunità di coesione sociale e al contempo da ferite e contraddizioni che mostrano le luci e le ombre di un traguardo tutt’altro che facile. Una rassegna cinematografica che inchioda il tricolore a sfide attuali la cui conoscenza ed analisi diviene la miglior celebrazione.
 
Una Costituzione rock: NIENTE PAURA di Piergiorgio Gay
«Buonanotte all’Italia che si fa o si muore / o si passa la notte a volerla comprare / come se gli angeli fossero lì / a dire che si / è tutto possibile / come se i diavoli stessero un po’ / a dire di no, che son tutte favole». Questi versi cantati da Luciano Ligabue in Buonanotte all’Italia racchiudono il cuore del docu-film del torinese Piergiorgio Gay (La forza del passato). Niente paura presentato a Venezia 67 Fuori Concorso riflette sul nostro essere italiani e sul futuro che ci attende. Un‘opera sull‘identità nazionale e sul senso di appartenenza che scaturisce anche dalla musica popolare di Ligabue che partecipa personalmente alla narrazione.   «Un paese che non è di chi lo governa, ma di chi lo abita. La fatica ad essere un paese che ce la fa. Un paese molto lontano da come l’abbiamo sognato» ricorda il cantante di Correggio in concerto all’Arena di Verona, ma che non smette di crederci proprio a partire dalle parole dei giovani intervistati che purtroppo ritrovano più fiducia in un cantautore che nei politici. L’opera di Gay che in contemporanea approfondisce eventi della storia italiana degli ultimi 30 anni e alcuni articoli cardine della Costituzione Italiana, si offre come un testo adeguato per rassegne sui concetti di identità nazionale in relazione alla legalità e alla giustizia, all’immigrazione e alle “mafie” di oggi.
Il film procede per musiche e canzoni (Buonanotte all’Italia, Niente paura, Non è tempo per noi, Libera nos a malo, Urlando contro il cielo, Balliamo sul mondo, Nel tempo, L’amore conta, Sogni da mediano, Sogni di rock’n roll, Sulla mia strada), immagini di repertorio (la strage alla stazione di Bologna, la caduta del Muro di Berlino, l’uccisione di Falcone e Borsellino, la vittoria italiana ai mondiali di calcio del 1982 e del 2006, il G8) affiancate alle interviste a gente comune e a personalità illustri come Carlo Verdone, Roberto Saviano, Paolo Rossi, Margherita Hack, Fabio Volo, Beppino Englaro, Umberto Veronesi e don Luigi Ciotti. La bandiera italiana sventola per Gay nelle parole che John Kennedy pronunciò il 20 gennaio del ’61 nel suo discorso d’insediamento: «Non chiedere cosa può fare il tuo paese per te, chiedi cosa puoi fare tu per il tuo paese». In questo tempo dove si raccoglie una certa grossolanità politica, il regista cresciuto alla scuola di Ermanno Olmi (Ipotesi Cinema) mette a disposizione un’opera coinvolgente come un concerto di Liga. Non è poco.
 
La complessità della pace: VENTI SIGARETTE di Aureliano Amadei
Peacekeeping: si chiamano così le missioni di pace nelle principali aree di crisi mondiale in cui sono impegnati migliaia di soldati italiani, uomini e donne, al fine di ricostruire paesi distrutti da guerre locali e mantenere stabilmente un equilibrio pacifico. Ebbero inizio negli anni ’60 in Congo per proseguire negli anni ’80 con le vicende del Libano e negli anni ’90 nell’area balcanica. Ma c’è stata anche la permanenza in Somalia e Mozambico e le più recenti partecipazioni a missioni in Iraq e Afghanistan. Complice il disgraziato crescere del numero dei caduti tra le truppe italiane all’estero, non s’interrompe il dibattito ormai incandescente se si tratti davvero di “guardiani delle pace” (peacekeeper) o di vere e proprie milizie in situazioni di guerra a cui il tricolore prende parte. Un film che ben propone la complessità di questo argomento è quello di Aureliano Amadei, 20 sigarette, anch’esso presentato a Venezia 67 nella sezione Controcampo Italiano.
Il 12 novembre del 2003 il regista romano, allora ventottenne, e da poche ore in Iraq  rimase gravemente ferito nel noto attentato terroristico che colpì la caserma italiana di Nassirya. Lì come aiuto regista per un film a cura del documentarista Stefano Rolla, vittima anch’egli nell’attentato con altri numerosi militari italiani, si ritrova al centro di quello che finora aveva sempre criticato frequentando manifestazioni no global e centri sociali.  La storia con la maiuscola esplode nella sua vita quando lui stesso salta in aria dopo nemmeno venti sigarette in quella geografia martoriata e senza governo.  Precario nella sua nazione nei sentimenti (sta con due donne) come nel lavoro, nel paese del petrolio si ritrova catapultato nell’incertezza di chi non può nemmeno fermarsi sul ciglio di una strada perché troppo pericoloso. Partito con inconsapevole leggiadria e con la spocchia di chi pensa di aver capito tutto, in particolare ciò che non approva e non conosce (il mondo militare), in pochi minuti di terrore iracheno abbandona per sempre il ragazzo in cui si gongolava per strisciare esanime alla ricerca di una salvezza, in quell’istante fisica ed a tutt’oggi emotiva contro gli attacchi di panico che ancora lo assediano.
Venti sigarette si sviluppa dal libroquasi omonimo, Venti sigarette a Nassirya, edito da Einaudi nel 2005 e scritto a due mani con Francesco Trento. Interpretato nel ruolo di Aureliano da Vinicio Marchioni, da Carolina Crescentini nei panni della fidanzata (la più accreditata) e Giorgio Colangeli per la parte del regista Rolla, il film si svolge per metà in Iraq e per l’altra metà a Roma, in particolare all’ospedale Celio, dove Amedei viene assediato dai giornalisti, militari, politici e preti in una parata senza significato. Ferito in modo molto serio ma in realtà ancora più devastato nell’intimo, Aureliano cola le lacrime di chi si sente responsabile della storia, ormai solo apparentemente lontana, e al contempo vittima dell’assurdità del male che uccide senza distinzione militari e civili, stranieri e locali.
In bilico tra commedia e tragedia ma giocato con una regia fresca e priva di retorica, Venti sigarette è lo sguardo tutto personale di Amadei sulla maturità acquisita e sulla guerra che ufficialmente non c’è ma che ufficiosamente uccide senza tregua. L’opera intreccia temi universali come la famiglia e la socialità, il mondo militare e la guerra, l’amore e la rabbia ma ciò che più conquista è il sentimento di autocritica che palpita nella narrazione. In un paese dove tutti vogliono avere ragione e dove la diversità scatena l’odio, l’approccio umile a cui giunge l’autore incanta e commuove. La complessità della pace segna le braccia di Aureliano che nel cullare la propria bambina rivivrà per sempre le membra di quel bambino iracheno al suo fianco arrivato morto all’ospedale. Non c’è pace finché un bambino muore così. E Amadei padre ora lo sa.
 
Una patria di stranieri: Fratelli d’Italia di Claudio Giovannesi e Into Paradiso di Paola Randi
Assediato da federalismo, regioni a statuto speciale e altri particolarismi, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano non demorde e continua ad indicare «l‘indivisibilità come un impegno politico e morale vincolante». Chi creda davvero all’Italia unita non è di certo una domanda banale o retorica. Ancor più in una nazione con un’identità multietnica ormai decisa tanto sul piano culturale quanto nel prodotto interno lordo. L’Italia unita la faranno gli immigrati? Serpeggia la contraddizione o l’auspicio che ciò che non sono riusciti a fare gli italiani possano farlo coloro che nel nostro paese ha trovato una speranza.
Due opere mettono a tema le sfumature etniche che colorano oggi il tricolore: uno zoom originale sull’universo multietnico degli adolescenti con il documentario Fratelli d’Italia di Claudio Giovannesi e la commedia Into Paradiso, opera prima di Paola Randi, sulla povertà culturale e materiale del capoluogo campano dove un povero cristo precario - uno scienziato senza cervello in fuga per avanzati motivi anagrafici - per scampare alla mafia familiarizza con una comunità srilankesi.
Romano, poco più che trentenne, Giovannesi pedina tre adolescenti di origine straniera nella stessa scuola di Ostia, alla periferia di Roma: Alin Delbaci, 17 anni, rumeno, che vive in Italia da quattro anni; Masha Carbonetti, 18 anni, bielorussa, adottata da una famiglia italiana e Nader Sarhan, 16 anni, egiziano nato a Roma. Di loro narra gli amori (Nader con un’italiana contro il volere dei genitori), i conflitti (Alin con i compagni di classe e la prof di lettere) e l‘identità (Masha che vuole incontrare il fratello rimasto in Bielorussia). Il documentario deriva dalla collaborazione nata nel 2007 con l’Istitituto Tecnico Commerciale “Paolo Toscanelli” dove quasi il trenta per cento degli studenti, come del resto tante altre scuole dello stivale, è di origine non italiana e dove si sperimenta con franchezza quanto l’integrazione non sia una condizione che si avvera per il semplice fatto di desiderarla. Seguendo le vicissitudini di questi giovani si percepisce quanto si tratti di un percorso lungo, tortuoso che richiede una ridefinizione dell’identità di entrambe le parti.
Con una molteplicità di registri (grottesco, tragico, western, caricaturale), Paola Randi, manager milanese in prestito al cinema con un primo risultato tutt’altro che incerto, parte dalla convinzione invece che l’immigrazione si manifesti come una «condivisione obbligata di spazi tra gente che proviene da mondi diversi», in particolare  in quartieri poveri dove stranieri e autoctoni si ritrovano miseri assieme come i personaggi del suo film. E’ il Crash, (così il regista Paul Haggis aveva chiamato questa contaminazione), quel contatto che rivela anche la solidarietà nel disagio e non solo la diffidenza nella differenza.
In Into Paradiso l’ignoranza e la volgarità dell’illegalità si contrappongono allo studio delle cellule a cui si dedica lo scienziato disoccupato. Esse hanno un comportamento regolare a cui ad un certo punto qualcuna sfugge lasciando lo spazio ad un’esperienza tumorale paragonata dal protagonista al cancro della mafia. Napoli è affascinante ma tristemente rassegnata: è più facile che un napoletano trovi una spalla contro il malaffare più nell’immigrato che in un suo conterraneo. D’altronde come dice Ligabue questo paese è di chi lo abita e di conseguenza il tricolore è di chi lo ama.
 
Per chi desidera organizzare proiezione mattutine con le scuole o altri appuntamenti legati al mondo giovanile per i film Noi credevamo (01 distribuzione), 20 sigarette e Fratelli d’Italia (Cinecittà Luce) può contattare Antonella Montesi Responsabile proiezioni scolastiche per questi tre film (349/77.67.796 antonella.montesi@yahoo.it).
 
 
 


Ultimo aggiornamento di questa pagina: 16-FEB-11
 

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