Sale della Comunità - Percorsi cinematografici
Incendies
di Arianna Prevedello



«Niente pace spirituale, niente matematica pura». Questo il destino irrisolto con cui si scontrerebbe Jeanne Marwan, se non prendesse sul serio le consegne testamentarie della madre Nawal appena morta. I conti del passato non tornano e per una matematica ciò non è consentito. Costretta ad accettare la ricerca di un’identità famigliare piovutale addosso con due lettere consegnate dal notaio Lebel durante la lettura del testamento a lei e al fratello gemello Simon. Missive che dovranno recapitare a due destinatari alquanto imprevisti: una per il padre che credono morto in guerra e una per un fratello di cui non sanno nemmeno l’esistenza. Soltanto grazie alla sorella Jeanne, Simon si lascia attirare nella “mise en abyme” senza fine avuta in eredità dalla madre. Travolti dallo shock, “I gemelli”, primo capitolo di questa moderna tragedia, accontentano la madre defunta che per propria volontà rimarrebbe altrimenti sepolta senza nome ed epitaffio. Come chiede la madre, se la promessa non venisse portata a termine, non meriterebbe che la sepoltura sulla terra di un corpo nudo rivolto con le spalle al mondo.
 
Fedele alla donna che l’ha messa al mondo, Jeanne ripercorre come una pellegrina il cammino in Libano che molti anni prima la madre compì alla ricerca del figlio a cui dovette rinunciare subito dopo il parto. Con questa coinvolgente densità e articolata sceneggiatura si avvia Incendies (in italiano La donna che canta) del cineasta canadese Denis Villeneuve,  tratto dall’opera omonima di Wajdi Mouawad messa in scena per la prima volta nel 2003 in Francia e in Canada e successivamente in tutto il mondo. Uomo di teatro a tutto tondo, Mouawad abbandona le geografie di Incendies all’età di 8 anni a causa della guerra civile e vive in esilio con la sua famiglia in Francia e in Canada. Calamitato dalla sua opera teatrale, Villeneuve ne rincorre i diritti per trarne un film presentato in Italia alle Giornate degli Autori di Venezia 67 e ora candidato agli Oscar per il Canada. Incendies si gioca a ritmo alternato talora sullo stordimento altre volte sul fascino dei diversi punti di vista con cui si dipana la storia: Jeanne, Nawal e un inquietante sguardo in macchina nell’incipit del film di un bambino che ritroveremo a tempo debito.
 
La capacità dell’uomo di affrontare e superare le avversità della vita appartiene all’esperienza personale dello scrittore Mouawad quanto “alla donna che canta” protagonista di questo affresco sacrificale e al contempo salvifico. «Ti ritroverò un giorno. Te lo prometto, amore mio» sono le parole che Nawal pronuncia al suo primo figlio prima che gli venga strappato dalle braccia. In realtà sono anche il punto di approdo interiore a cui la donna giungerà nel suo cammino di resilienza. Nawal spezza la spirale di guerra, violenza, morte e odio per ritrovare dentro di sé, nel cuore e nel ventre, l’esperienza dell’amore come il risultato di un’equazione a cui sembrava impossibile sopravvivere. Passa dalla vendetta («insegnare al nemico quello che la vita ha insegnato a me») al dare alla vita anche quando quest’ultima viene fecondata dalla violenza subita ripetutamente, anche quando “uno più uno farà uno” contro ogni legge umana e matematica. L’essere cristiana a cui inneggia per salvarsi durante un attacco terroristico si avvererà di per sé, oltre ogni scelta confessionale, nella condizione intima e vera dell’amore a cui rimane fedele e che la porterà a non odiare il suo carnefice. Nawal è l’icona della terra promessa dove s’interrompe l’orrore e dove anche l’infanzia vissuta come un coltello alla gola trova pace nelle braccia riconciliate della madre. Incendies mette ordine nello scacchiere mediorientale non con una soluzione geopolitica ma con valori imprescindibili. Davanti alla verità del male atavico può scaturire solo il silenzio, dalla grandezza del bene finalmente un epitaffio alla luce del sole.
 
 


Ultimo aggiornamento di questa pagina: 14-FEB-11
 

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