Sale della Comunità - Percorsi cinematografici | |||
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"Non cè opposizione". Così nel 1994, due anni prima della triste vicenda dei sette monaci trucidati in Algeria, il priore padre Christian diceva allabate generale e amico dom Bernardo Olivera di fronte alla sua affermazione: "Lordine non ha bisogno di martiri, ma di monaci". Già perché si può essere martiri e monaci, ma solo in forza di una "scelta". Quella scelta che ti fa restare in una terra che non è tua, ti fa guardare gli uomini che la abitano con gli occhi del cuore e che ti spinge ad amare la tua vocazione perché prima di tutto senti che così ha amato Dio. Il film di Beauvois "Uomini di Dio", presentato e premiato a Cannes, nonché candidato allOscar per la Francia, parla propriamente di questa scelta. Una scelta che, fin dalle prime immagini, descrive la propria ragionevolezza nelle poche parole e nei molti sguardi. Sguardi che sincrociano e sorridono, che emanano serenità e passione, sguardi rivolti allInfinito, che si perdono nella eloquente melodia del canto che si fa preghiera o nellorizzonte di una natura che ti rimanda al suo Creatore. Un racconto squisitamente amorevole che sa accompagnare lo spettatore dentro la storia di questa comunità che, di fronte al rischio della vita, si trova innanzi la decisione più dura della propria esistenza: restare o partire. Ovvero: rimanere fino alla fine oppure, come afferma qualcuno, andarsene e quindi fuggire? E questo il dilemma che ritorna più volte nel film e che fa comprendere non solo la singolarità dellora, ma tutto il peso che comporta qualsiasi risposta. Perché ne vale non soltanto la salvezza della propria pelle, ma soprattutto quella dellanima e quindi del cuore. Lo si percepisce nel volto di ciascuno dei monaci, magistralmente interpretati, che sanno dare espressione anche al non detto, più di qualsiasi altra efficace parola. Paura e coraggio, preoccupazione e determinazione, sofferenza e pace interiore sono gli ingredienti che si mescolano lungo la narrazione fino ad arrivare alla lirica e struggente scena dellultima cena, che di fronte alla drammaticità dellevento (ben sottolineata dalla musica tratta da Il lago dei cigni di Cajkovskij) sa comunicare con singolare delicatezza tutto il valore di un vita che si dona e si consuma. Proprio lì si gioca la capacità empatica dello spettatore, che tra le lacrime e la gioia intravede chiaramente ciò che si può fare in nome dellamore, in quella sorta di rendimento di grazie. Un grazie che risuona a chiare lettere nel testamento spirituale di padre Christian, contemplato nel silenzio delle ultime drammatiche sequenze del loro AD-DIO. |
"Più forti dell‘odio" di Arianna Prevedello |
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Ultimo aggiornamento di questa pagina: 18-NOV-10
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