Sale della Comunità - Percorsi cinematografici
Des Hommes et des Dieux
di Paolo Perrone

Un amore davvero più forte dell’odio, quello che contrassegna ogni fotogramma di Uomini di Dio, vincitore del Gran Premio della giuria all’ultimo Festival di Cannes. La pellicola di Xavier Beauvois è un’intensa, limpida testimonianza in immagini di devozione a Dio, che approda ad un universale messaggio di pace attraverso la spinta inesauribile della fede e il bisogno incontrastabile di fraternità.

Il primo pensiero, sulle immagini di Uomini di Dio, va a Il grande silenzio di Philip Gröning. Ma rispetto a quel film la pellicola di Beauvois va oltre l’esplorazione documentaristica della quotidianità in un monastero, facendo ricorso a specifiche coordinate cinematografiche (una regia rigorosa e al servizio della storia, una gamma di interpretazioni di ottimo profilo, una scelta delle location credibile e realistica) e legando il racconto al fatto tragico, realmente accaduto nel 1996, dell’uccisione di sette monaci trappisti francesi di un monastero collocato tra le montagne dell’Algeria, che vivevano in piena armonia con la comunità musulmana. Un’armonia spezzata dai gruppi terroristici islamici, ma che Beauvois rievoca con pudore e sensibilità, mostrandoci i monaci benedettini riuniti in preghiera, incessanti nel prestare cure e aiuti alla popolazione locale, incerti se rimanere o restare in una regione divenuta teatro di guerra, ma sempre animati da una tensione morale condivisa che si fa esempio supremo del legame con Dio.

Uomini di Dio non nasconde le preoccupazioni e le paure dei monaci. Ed è questa dimensione intimamente umana, prima ancora di quella religiosa, a permettere al film di Beauvois di aggirare l’ostacolo dell’enfatizzazione martirologica e agiografica. Sotto la guida del priore Christian, eletto dalla comunità (interpretato ottimamente da Lambert Wilson), i confratelli rifiutarono la presenza dell‘esercito a difesa del loro convento e nel marzo 1996 vennero sequestrati da un gruppo armato della jihad islamica e uccisi. Le loro teste (ma non i loro corpi) vennero ritrovate il 30 maggio di quello stesso anno. Nel sequestro, come sostengono alcuni documenti ritrovati di recente, furono forse implicate anche le forze armate algerine. In ogni caso, nella memoria degli spettatori rimangono impresse la quotidianità mistica e la concretezza caritatevole dei monaci, e resta alto il loro canto di preghiera. Un canto che sovrasta, nel finale del film, il fragore delle pale degli elicotteri militari che sorvolano minacciosamente il monastero.

 
 
Vedi l‘intervista a Enzo Bianchi
 

 
 


Ultimo aggiornamento di questa pagina: 18-NOV-10
 

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