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PIETA   versione testuale
di KIM KI-DUK

I soldi come merce diabolica, origine e fine di tutto, il nichilismo come orizzonte di fondo e il desiderio di essere amati sono gli elementi fondamentali di Pieta, nuova pellicola del maestro coreano Kim Ki-duk.
Protagonista del film, Kang-do, giovane e spietato esattore per uno strozzino. Il girone infernale in cui conduce lo spettatore è quello degli insolventi, che storpia senza pietà per intascarne il rimborso assicurativo.
I locali, sporchi, disordinati e pieni di macchinari unti sono l’ambientazione delle torture inflitte. Un appartamento vuoto e sciatto, in un edificio fatiscente, la casa in cui Kang-do torna ogni sera, solo, dove sgozza le galline che mangia per cena, lasciandone le interiora sul pavimento del bagno, dove un’immagine di donna è appesa al muro, fatta bersaglio per il lancio del coltello da cui non si separa mai. A mettere in crisi il protagonista, la misteriosa epifania di una donna, Mi-sun, che dice di essere la madre che lo aveva abbandonato in fasce. Kang-do non si fida. La costringe ad oscene prove d’amore (dal rapporto edipico al cannibalismo, ecco i topoi della tragedia classica e della psicanalisi freudiana) e alla fine decide di abbandonarsi all’amore materno di lei.
La breccia aperta nel cuore dell’insensibile protagonista lo rende però vulnerabile.
Di qui in poi il racconto cinematografico assume i caratteri del raffinato dramma psicologico; lo sguardo della macchina da presa va a fondo nei personaggi, ne scopre incertezze, paure e sentimenti.
Il protagonista si svela per quel che è: un dannato, un uomo che soffre, esattamente come quelli che tortura e storpia, proprio come la donna che dice di essere sua madre.
La compassione che prende Kang-do per le persone che incontra lo avvicina, agli occhi dello spettatore, alla pietà che prova Mi-sun per suo figlio. Ed è questa pietà a dare il titolo alla pellicola, quell’amore commisto a dolore che Kim Ki-duk mette al centro del film, e che rimanda immediatamente alla più famosa Pietà di Michelangelo, in cui Maria ha teneramente in braccio il proprio figlio morto.
Il racconto del regista coreano porta sullo schermo, con stile e toni propri, un tema universale cui nessuno resta estraneo.
 
Tiziana Vox
 
 
 
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